È un coro unanime, giusto e condiviso: stiamo a casa!
Solo così possiamo combattere la pandemia che sta provocando malattia, morte e una crisi economica mondiale senza precedenti. Tutto giusto. Però. Già c’è un però. Se foste costretti a convivere senza nessuna possibilità di uscire di casa con un uomo violento fisicamente, verbalmente e psicologicamente?
La casa non sarebbe proprio il vostro rifugio sicuro. E se in questa casa ci fossero anche i vostri figli, vittime di un padre violento? È quello che stanno vivendo migliaia di donne in Italia in questi giorni.
A Lodi, il centro antiviolenza “Metà di niente”, riferimento immediato per le donne che subiscono violenza psicologica, fisica, economica, sessuale e stalking, è stato costretto a chiudere gli sportelli negli ospedali e riesce a mantenere attivo solo il proprio numero di telefono per le richieste di aiuto.
“Se mediamente a Lodi contiamo 300 richieste di aiuto all’anno e in queste settimane non riceviamo chiamate, vuol dire che le donne non riescono neanche a chiedere aiuto”, questa la lucida e tragica analisi della presidente del Centro di Lodi – Paola Metalla. “Sono bloccate in casa e tenute sotto stretta sorveglianza, quindi impossibilitate persino a chiedere aiuto”.
Se il Governo sta stanziando fondi destinati alle Regioni per il contrasto della violenza maschile e i Comuni stanno facendo il possibile per mantenere i Centri di riferimento, la Regione Lombardia cosa sta facendo? La consigliera regionale PD Paola Bocci ha presentato una serie di richieste che chiedono prima di tutto una diffusione capillare e una comunicazione massiva del numero nazionale 1522 e della APP collegata, inoltre chiedono a Regione Lombardia lo stanziamento di risorse per l’allontanamento degli uomini violenti da casa in questo periodo già così difficile e tragico. “Una scelta giusta per evitare di aggiungere dolore e disagio a una violenza in atto” ribadisce Paola Bocci.
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