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AGRICOLTURA AD UNA SVOLTA

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Sabato 07 Aprile 2018

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Dopo l’insediamento della nuova giunta regionale lombarda ed in vista del prossimo Governo del Paese, mi sembra opportuno fermare l’attenzione sul rapporto tra agricoltura e politica, tanto importante per una realtà come il Lodigiano.

Può un abbinamento  quasi  impossibile da paragonare, ma oggi le due realtà  sono legate a doppio filo e devono marciare insieme per un vero rilancio del Paese. Entrambe - agricoltura e politica - si trovano in un momento di grande cambiamento, di scelte di rotta che sembrano difficili da individuare e da percorrere; sembra quasi che tutto quello che è stato finora fatto non vada più bene.

E’ venuto il momento di fermarsi a ragionare bene su cosa è stato fatto, sui risultati e obiettivi finora conseguiti, di cercare di capire - con fatti concreti  e non con sensazioni - se si è sbagliato e individuare la strada da percorrere, proponendo soluzioni che diano risposte durature negli anni; si tratta anche avere la capacità di rinnovarsi e adattarsi alle mutate condizioni .

I  numeri ci dicono che la nostra agricoltura a livello di export sta andando bene; nel 2017 raggiungeremo i 40 miliardi di esportazioni dei prodotti ‘Made in Italy’, stiamo portando le nostre eccellenze in giro per il mondo, stiamo cercando di soddisfare la voglia di Italia che milioni di persone cercano, ma …..

Ma abbiamo una bilancia commerciale che continua ad essere in deficit; certo, si è passati dai quasi 10 miliardi di disavanzo del 2007 agli attuali 4.2 miliardi, abbiamo Paesi come la Germania - che non può certo vantare tutte le nostre dop - che esporta il doppio di noi, superiamo ad esempio la Francia come quantitativi di vino che esportiamo, ma il valore del vino francese è del 70% superiore al nostro.

Ma l’Italia è anche un Paese non autosufficiente sul versante alimentare; si è passati da un tasso  di autoapprovvigionamento dell’83% nel 2012 al 76% del 2016 (fonte Centro Studi Confagricoltura) e questo significa che 6 / 8 milioni di terreni nel mondo, magari anche qualche pezzo di foresta amazzonica, servono per sfamarci.

Sicuramente questo fenomeno è legato anche ad una cementificazione che non conosce sosta , ma anche all’abbandono di terreni difficili, marginali, non più economicamente sostenibili, ma certamente importanti da mantenere dal punto di vista ambientale.

E più portiamo le nostre eccellenze verso Paesi dove possano essere valorizzate e più importiamo prodotti esteri e commodities che, arrivando da Paesi con costi di produzione più bassi, stanno mettendo in ginocchio la nostra agricoltura.  

Un’altra conseguenza è che questi prodotti entrano nelle nostre filiere creando un regime di forte concorrenza tra una produzione Dop, fatta di prodotto italiano trasformato, e un ‘Made in Italy’ generico, che ha alla base materia prima italiana ed estera.

E tutto questo genera spesso confusione nel gestire i diversi prodotti immessi sul mercato; il consumatore, sovente orientato nelle scelte  da difficoltà di ordine economico, cerca il miglior rapporto qualità prezzo, dimenticandosi di tutti i controlli a cui l’agricoltura italiana deve sottostare, sicura  garanzia di prodotto sano .

Come coniugare, allora, produzioni quantitativamente rilevanti con qualità  e sicurezza alimentare?

Non certo con proposte risibili, come teorizzare la decrescita felice - o meglio infelice -, o quella della esoterica agricoltura biodinamica fatta di corna riempite di letame, oppure con proclami populisti, purtroppo fatti propri anche dall’ultimo Ministro dell’Agricoltura del nostro Paese, il quale teorizzava il bando della chimica entro pochi anni - pensiamo poi di portarlo anche nella medicina il bando della chimica? - o le tante ‘fake news’ fatte circolare ad arte per screditare il mondo della agricoltura.

Il nostro modello di sviluppo si chiama agricoltura sostenibile, nelle sue tre accezioni: economica, ambientale e sociale.

Una agricoltura che rispetti l’ambiente, che utilizzi sempre meno fertilizzanti, acqua, energia e prodotti chimici; certo, si tratta di sfide importanti che devono essere vinte con la prevenzione dei problemi, con una cura dei particolari, con una agricoltura di precisione, cercando di evitare il più possibile gli sprechi, ma soprattutto con una innovazione che vada a toccare tutti i settori delle coltivazioni e degli allevamenti.

Dobbiamo utilizzare le nuove tecniche di selezione animale e vegetale, come crisppr e genoma editing; la chimica deve metterci a disposizione prodotti facilmente e velocemente degradabili nell’ambiente e che lascino zero residui sui prodotti alimentari; occorrono reti informatiche per gestire i ‘big data’ indispensabili per una moderna, efficiente ed efficace agricoltura .

Realtà od utopia?

E qui ritorna il legame con la politica.

Abbiamo bisogno di una classe politica che partendo dalle esigenze della società civile e del mondo del lavoro, ascolti la loro voce.

Una politica che parta - nel prendere le decisioni - non da sensazioni, non da sondaggi abilmente indirizzati, ma da numeri concreti, rigorosi; che non cerchi soluzioni immediate, spesso populiste, ma si dia un respiro più ampio per avere soluzioni più durature.

Oggi per noi imprese agricole le priorità sono stabilità, lavoro per i giovani, lotta alla burocrazia ed a sensazionalismi dell’ informazione sviata.

Non vogliamo un Ministero del Cibo, ma un Ministero dello Sviluppo Agricolo dove trovare con un unico interlocutore le risposte alle nostre esigenze, un mix tra Ministero della Sanità, dell’Ambiente, dell’Agricoltura e dello Sviluppo Economico,  per continuare a fornire al consumatore quel cibo buono, sicuro e italiano che il consumatore ci chiede.

Chiudo con un detto marinaro, spesso citato da Mario Guidi, già presidente nazionale di Confagricoltura, che ben si adatta all’agricoltura, alla politica ma anche ad ogni nostra attività:

“Non c’è vento favorevole per il navigante che non sa dove andare”.

(Antonio Boselli, Presidente Confagricoltura Milano, Lodi, Monza Brianza)

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